A
OSLO SUL LAVORO MINORILE
"Lavoro in fabbrica 10 ore al giorno e voglio
continuare a farlo
"
Di
Marco Fantoni
"Lavoro in fabbrica 10 ore al giorno e voglio continuare a farlo
"
È quanto ha dichiarato il 14enne di Nuova Delhi, Deepack, il quale dall'età
di 9 anni lavora in fabbrica per non morire di fame. Rosemary Portilla, peruviana,
pure di 14 anni dichiara: "Vogliamo lavorare un numero di ore che ci
consenta di non sacrificare il resto. Vogliamo essere rispettati, trattati bene
e capiti". Questi due, sono alcuni degli interventi di minori, sentiti
durante la Conferenza di Oslo, tenutasi lo scorso ottobre, organizzata dal governo
norvegese, dall'ILO (Organizzazione internazionale per il lavoro) e dall'UNICEF,
che faceva seguito all'incontro di Amsterdam dello scorso mese di febbraio.
Lo scopertine/copo principale di questa Conferenza era quello dell'identificazione di
strategie nazionali ed internazionali per l'eliminazione del lavoro minorile,
tramite lo sviluppo della cooperazione ed altre forme di collaborazione, con
una particolare attenzione ai minori di 15 anni. Alla fine ne è scaturito
un piano di azione per eliminare lo sfruttamento di cui sono vittime almeno
250 milioni di bambini nel mondo, "per proteggere i bambini dallo sfruttamento
economico e sottrarli ad ogni lavoro che danneggi il loro sviluppo fisico, mentale,
spirituale, morale o sociale". Gli interventi dei bambini, lascerebbero
intuire una certa contrarietà alle prese di posizioni che emergono puntualmente
da questi incontri. I minori presenti ad Oslo, non hanno avuto peli sulla lingua:
"Se non lavoriamo, non mangiamo", può essere la sintesi del
loro messaggio. Per loro, ma non solo, la povertà fa parte della vita
quotidiana, il bisogno di sopravvivere porta di conseguenza a scelte obbligate.
A questo punto, anche chi si impegna per migliorare le loro condizioni di vita,
potrebbe restare spiazzato davanti a simili dichiarazioni e prese di posizione.
Il discorso qui si deve per forza allargare a quelle che sono le politiche sociali
ed economiche che condizionano i Paesi in via di sviluppo o che comunque impiegano
nelle loro economie, minori per lavori di qualsiasi tipo, pesanti o leggeri
che siano, pericolosi o non. Il fatto che bambini debbano perdere gli anni che
normalmente sono dedicati all'educazione scolastica, a favore del lavoro è
la conseguenza di situazioni economiche, sociali e culturali che puntualmente
affiorano e che sono messe a conoscenza di tutti tramite i mezzi di comunicazione
e per le quali ci si trova impossibilitati ad applicare soluzioni idonee. Dunque
di pari passo alla volontà di eliminare il lavoro minorile, la consapevolezza
di trovare delle soluzioni che vadano a vantaggio di Paesi in via di sviluppo,
dall'America del Sud all'Africa, all'Asia, all'Europa dell'Est ma anche dell'Ovest
e di conseguenza dei suoi abitanti.
Un discorso di prevenzione e di riabilitazione, accompagnato dall'impostazione
sull'educazione di base, il ruolo della società civile, le leggi e soluzioni
nazionali ed internazionali, sono le misure da adottare. Ed è sull'educazione
che le grandi organizzazioni presenti hanno posto in modo particolare l'accento
per combattere il lavoro minorile. Il ruolo della società civile è
fondamentale. Certo il problema è grande e presenta risvolti difficili
e complicati, ma che non devono lasciare indifferenti la nostra società.
SOLUZIONI?
Contemporaneamente alla Conferenza di Oslo, a Ginevra si sono incontrati per
due giorni i rappresentanti dell'economia internazionale: la Banca mondiale,
la Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo, il Fondo monetario
internazionale, il Centro internazionale per il commercio e il Programma Onu
per lo sviluppo, ospiti dell'Organizzazione mondiale per il commercio (WTO),
che oltre ai suddetti organismi ha convocato le delegazioni delle 48 nazioni
che I'Onu valuta come meno avanzate. Lo scopertine/copo di questo incontro era quello
di trovare una ricetta per coinvolgere maggiormente, negli scambi ed investimenti,
quei Paesi che sono coinvolti solo marginalmente. Si studieranno dunque modalità
per permettere l'accesso ai mercati per i Paesi meno sviluppati e per incoraggiarli
al massimo sugli investimenti in casa loro. D'altra parte si adotteranno misure
atte a favorire l'esportazione, come ad esempio l'abolizione di tutte le tasse
doganali sui prodotti provenienti dai Paesi in via di sviluppo. Misure che trovano
il favore di Stati Uniti ed Unione europea. Banca mondiale e Fondo monetario,
da parte loro hanno già iniziato un programma di riduzione del debito,
partendo dall'Uganda e che dovrebbe poi continuare con altri Stati africani.
Queste misure, che significano annullamenti parziali di debiti verso l'Occidente,
mentre l'altra parte è riconvertita negli investimenti interni, non sono
naturalmente concesse senza una garanzia di una volontà di stabilità
politica del Paese che ne beneficia. Il direttore generale del Wto consapevole
delle difficoltà ha lasciato trasparire a proposito un messaggio di speranza.
"Negli ultimi decenni, abbiamo visto Paesi di tutto il mondo passare
dalla povertà ad aspettative di prosperità".
Dunque il miglioramento dell'economia degli Stati per migliorare le condizioni
di vita dei suoi abitanti, in modo particolare i più deboli, donne e
bambini. Certo che gli investimenti che vorranno essere fatti, dovranno tener
conto di quanto già successo in precedenza sia nel Nord sia nel Sud del
mondo. Questo per non ritrovarsi poi in seguito a dover curare quei mali, che
si è voluto eliminare, con gli stessi mezzi che li hanno provocati. Il
rispetto dei valori principali verso la persona umana, e dì tutto quanto
la circonda devono essere tenuti in considerazione per evitare che anche il
miglior investitore/amministratore si ritrovi ad un certo punto a combattere
contro condizioni negative, ambientali e di persone che si vedono negate un
benessere promesso in precedenza. Lo sviluppo economico dovrà crescere
parallelamente ad uno sviluppo della persona ed in particolare del bambino che
non dovrà essere l'elemento trainante dell'economia, ma forza futura,
formata grazie ad un'educazione di base che attualmente, come dimostrano le
varie realtà, non è garantita.